E' Paolo Basso, 44 anni il miglior sommelier d'Europa. Al terzo posto il giovanissimo Ghiringhelli (23 anni)

Paolo Basso, miglior sommelier d'Europa.

Poalo Basso


Eleganza come tratto essenziale. E poi razionale, equilibrato, misurato. La sua passione per l’universo del vino è frutto più di una curiosità intellettuale che di una pura accondiscendenza ai sensi. È gioia, certo, ma anche e soprattutto studio e disciplina.

Spesso, e a torto, l’immagine superficiale che ci facciamo di un sommelier è quella riduttiva di un uomo distinto avvolto in un abito nero che presenta i vini, consigliando il miglior abbinamento per accompagnare un pasto. C’è sicuramente anche questa parte, sebbene il sommelier sia una professione che richiede davvero molto impegno.
 
Per conservare e arricchire il proprio bagaglio di conoscenze, il sommelier deve continuamente aggiornarsi, studiare, cercare, sperimentare. Perché il vino non è solo un prodotto sensoriale, una cultura, una tradizione. È anche business e investimenti economici. Sempre più spesso il sommelier non è più solo un consulente, ma anche un manager che gestisce cantine importanti.

Sete di sapere e di conoscenza

Con un certo timore reverenziale, aspettiamo in un winebar di Mendrisio un vero Signore del vino, appena laureatosi campione d’Europa (il 22 novembre 2010). Si tratta del ticinese Paolo Basso, 44 anni, che a Strasburgo è stato designato miglior sommelier d'Europa. Già vicecampione del mondo nel 2007 e nel 2008,  Basso l'ha spuntata quest'anno sul francese David Baraud (38 anni). Al terzo posto si è classificato il giovane italiano Matteo Ghiringhelli (23 anni).
 
Ci troviamo di fronte un uomo dalla forza tranquilla, misurato, equilibrato, che parla del suo lavoro senza enfasi, senza nulla concedere a formulazioni barocche, quelle che spesso si riscontrano in qualche rubrica gastronomica. Se dovessimo scegliere un’etichetta, come per tutti vini, opteremmo per “riflessivo”. Del resto Paolo Basso seleziona con cura pure le parole. Anche quando ci parla della sua formazione alla scuola alberghiera.
 
“Il vino mi ha sempre affascinato, da principio perché nei ristoranti vedevo quei signori che roteavano il vino nel bicchiere, parlavano, sentenziavano, discutevano. Da giovane cameriere – ci racconta -  guardavo ammirato queste persone convinto che dovessero essere dei maghi per riuscire a capire che cosa ci fosse dentro. Poi alla fine mi sono reso conto che non capivano molto. Parlavano e basta».
 
Passando da enoteca in enoteca e vedendo differenze di prezzo decisamente notevoli, la curiosità continuava a crescere. Poi, grazie alla conoscenza di un grande sommelier a Ginevra, Paolo Basso decide che quella sarà la sua strada. Una scelta dettata da una curiosità intellettuale e non da un’esperienza sensoriale. Sete di conoscenza, dunque, come punto di partenza.

Capire il vino? Ci vuole studio

Quanto ha contribuito il suo approccio “Intellettuale” versus “godereccio”, nella conoscenza del vino? «Probabilmnente è stato utile perché ti poni davanti all’oggetto di studio con più distacco e lucidità. Uno dei freni nella conoscenza dei vini – sottolinea Basso – sono proprio i pregiudizi. Forse grazie al fatto che il mio approccio non è stato condizionato da memorie sensoriali o esperienziali, legate per esempio a tradizioni familiari, mi ha aiutato nel mio percorso professionale». Non basta amare il vino per capirlo. Occorre, insomma, andare a scavare.
 
«I miei primi passi nel mondo del vino sono coincisi con le prime difficoltà nella comprensione di questa bevanda» spiega ridendo. E aggiunge: «Il vino è una bevanda che offre tantissimo purché si sia capaci di tirarle fuori tutto quanto può dare. Per questo ci vogliono grandi capacità di degustazione». Quando poi il suo mentore, reduce da un concorso, gli mostra la lunga lista delle domande a cui ha dovuto rispondere, Paolo Basso compie il grande passo, spinto dalla sua passione per lo studio.
 
«Si è vero, da quel momento ho cominciato a studiare, non ho più smesso ed eccomi qui. Le conoscenze del sommelier – spiega – comprendono viticoltura, vinificazione, enologia, geografia vitivinicola e caratteristiche dei terreni e dei climi, senza dimenticare la storia. Le conoscenze debbono evidentemente  spaziare su tutti i paesi vitivinicoli del mondo, che sono sempre di più». Insomma un bel bagaglio di informazioni che richiedono un aggiornamento continuo, attento e rigoroso.

Vini coca-cola e “fashion-wine”

Addio volti rubicondi, guanciotte rosse. Un sommelier ha tutto l’interesse a restare in forma per prendersi cura dei propri sensi. «Mi prendo cura di me grazie a uno stile di vita sano, imparato e adottato da giovane allorché correvo in bicicletta. Accanto allo sport – sottolinea - c’è  anche una corretta alimentazione. La pancia piena induce sonnolenza, ecco perché quando si degustano i vini è meglio se si ha un po’ di appetito: gli organi dei sensi sono più  all’erta».
 
Un sommelier deve evidentemente allenare l’olfatto e il palato cercando di riconoscere aromi e gusti. Ma  non basta: alla concentrazione, infatti, non si può rinunciare: «Naso e palato sono solo dei sensori. Percepiscono aromi e sensazioni gustative; tocca poi al cervello il compito di elaborarle tirando fuori dall’archivio delle memorie paragoni vicini e lontani. Prima di iniziare a degustare ci si deve concentrare dedicando ogni sforzo intellettuale all’ elaborazione dei dati. La degustazione professionale è davvero una disciplina faticosa. Niente a che vedere con il bere il vino a tavola, che resta un piacere».
 
Tra i lati del suo mestiere che ama, è il rapporto con i consumatori, che vanno messi a loro agio e accompagnati nella scelta di un vino, oggi sempre più difficile visto la vastità dell’offerta e la quantità di “vini coca-cola” – come li definisce Basso -  che inondano il mercato. E vista la crescente tendenza dei “fashion-wine”, vini che diventano di moda grazie a grosse operazioni di marketing.
 
Se è vero che per Basso la disciplina, lo studio e l’apertura mentale sono gli strumenti principali della sua professione, nel suo lavoro c’è naturalmente anche spazio per la dimensione emotiva legata ad un determinato vino bevuto in determinate circostanze. E quelle emozioni sono vive ancora adesso.
 
«Quell’esperienza una cosa mi ha insegnato, che cerco sempre di condividere con gli altri: mai aspettare un momento comandato per aprire una grande bottiglia, ma stapparla quando se ne ha voglia, in qualsiasi momento. Anche se si è da soli».